La raccolta di poesie L’uccello chiamato airone di Pasquale Matrone, avallata, con critica attendibilità, dalla prefazione di un qualificato addetto ai lavori quale è Pasquale Sabbatino, prende in prestito il titolo di una delle composizioni più incisive in cui l’Autore, come acutamente nota il prefatore, finisce col sentirsi ed essere uccello, ripetendo a se stesso, con l’insistenza ritmica dell’accumulazione, che provoca l’incantesimo, l’umanità dell’uccello.
La silloge, guidata da una Musa intensa e captante, si trova a beneficiare di alcuni elementi compositivi i quali hanno la virtù di interessare non precariamente chi si accosta al libro, sollecitandone anche la l’adesione immediata. Il lettore è, infatti, colpito dalla qualità, dal tono, dal colorito lessicale e dall’ampio raggio d’incidenza di un discorso poetico che si snoda, un verso dopo l’altro, seguendo le linee di un panorama interiore, che ha le volute dei sentimenti che agitano l’animo del poeta.
Ne L’uccello chiamato airone si riconoscono gli accenti di una pensosa e meditata interiorità; l’andamento, emotivamente trepido, di una sensibilità intensa nel vissuto; l’impronta di una vitalità spontanea che conferisce unità al denso e serrato circuito dei versi; la facoltà naturale di cogliere frammenti di vita, evitando espressioni banali e temperando l’emozione con il controllo di un’intelligenza analitica, non limitante un’espansa libertà inventivo-creativa, che, lievemente, scandisce una tenue e imbrigliata visionarietà: Vecchio/ il Dolore/ sulla solita panchina/ sogna bianche colombe/ e aquiloni in volo/ nel cielo di cristallo./ Occhi quasi spenti/ mani tremanti/ verso mete lontane/ disperato tentativo/ di donare carezze/ alle nuvole in fuga./ Gente, indifferenza/ parole biascicate/ in dormiveglia/ pazzo monologo, dolce/ poesia della solitudine/ maestosa preghiera/ canto sublime/ di fragile creatura/ qualche attimo prima/ del Tramonto. (Canto sublime). Nella pulsante geografia poetica dei testi si individua, d’acchito, una scrittura scavatamente lirica, umanamente partecipe, tutta segreta, allusiva, nascosta, in cui il sogno si confonde con la realtà, presentando caratteristiche quasi tese a far perdere le proprie tracce; E sono/ (o mi illudo nel sogno)/ fragile/ inutile creatura/ che misura/ sulla pendola antica/ il tempo disperato/ che separa/ dal Traguardo. Si percepisce, subito, quel timbro così peculiare di un modulare contenuto e di un monologare sommesso, straordinariamente discreto, pudico, che instaura, immediatamente, con chi legge un rapporto di confidenzialità fiduciosa: Non sprecate parole/ amate il mio pudore./ Saltate ad un ad una/ le solite battute del copione/ e non infastidite/ gli autisti frettolosi/ per la strada./ Ponete in fondo al cuore/ nascosto il vostro pianto./ M’appartiene il momento/ per quest’ultima volta m’appartiene./ Fate in modo ch’io sia/ unico vero attore/ non comparsa. S’identifica, spesso, un itinerario pieno d’angoscia, ove l’incertezza e l’ignorare dove ci portano le correnti della vita ritmano quella sorta di dramma che è in sé l’esistenza: Questa vita/ di strade assolate/ di poveri pazzi/ dimenticati/ che vanno in solitudine/ senza meta/ e che scompaiono/ di notte/ in pieno inverno/ sul ciglio della strada.
Con L’uccello chiamato airone, Pasquale Matrone ha dimostrato di essere sensibile alla lezione della lirica del Novecento, ma senza cedimenti al vuoto funambolismo del linguaggio sperimentale; se non sussistesse il timore che ogni etichetta letteraria finisce sempre con l’assumere un senso restrittivo, lo definirei un poeta intimista, ma non privo di venature sociali, nell’accezione più ampia del termine.
Giuseppina Scognamiglio (docente dell’Università di Napoli, La scuola di domani, n° 1, 1984)
Scognamiglio Giuseppina - -
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