L'Uccello Chiamato Airone

Il "dopoMontale" è ormai cronologicamente iniziato, fra rivendicazioni di filiazione, tentativi di rottura del cordone ombelicale e operazioni di attraversamento della poesia montaliana, allo stesso modo di Montale che attraversò la poesia dell’allora gran principe D’Annunzio, nella raccolta Ossi di seppia (1925). Il panorama letterario è quindi piuttosto mosso e movimentato, percorso da lasciti ereditari e da nuove tendenze.

In Questo ambito la poesia di Pasquale Matrone si muove con solitudine, ma senza isolamento. Invero la lettura tematica della poesia di Matrone tradisce prima, e rivela poi, tutta una serie di addentellati con le tematiche della poesia del ‘900 – non mancano echi e tracce leopardiane, come ad es. in Inutile attesa: “E il tempo indifferente/ rinnova/ gli inganni/ di sempre” – individuabili lungo il grosso problema dell’uomo dimidiato tra l’orizzonte fisico e la prospettiva metafisica. La poesia di Matrone si colloca in questa zona, facendosi carico della ricerca umana nell’umano (e questa è ricca di situazioni e di risvolti) e ancor più della ricerca umana nell’oltre confine ( e questo è motivo antico quanto l’uomo, e fatto proprio da ogni letteratura di ogni secolo). Il viaggio ermeneutico di Matrone è come bloccato sulla soglia dell’oltre confine dal “mistero”: Ti aspetto/ attimo infinito/ Mistero/ che conduci/ oltre i confini/ del dolore… (Ti aspetto) o dall’enigma, razionalmente insolubile, ma talvolta sciolto dalla “ebbrezza” di una natura intatta Ebbrezza/ ineffabile/ di un Tramonto/ che scioglie finalmente/ l’enigma/ e che segna/ il momento dell’Inizio. (Ti aspetto). Sono comunque sensazioni che durano il breve spazio di un tramonto, dopo ritorna il mistero, ancora più inestricabile e assurdo. (Uomo dei campi). Bloccata presso la dogana dell’oltre confine, dove si chiede il lasciapassare della fede, la poesia di Matrone vive la condizione dell’attesa, intesa come pausa tra l’oggi e il domani: Note/ di chitarra/ e voce/ che canta alla luna/ Attesa/ Domani/ ci saranno/ nuvole di fumo/ e risate di fanciulle/ in festa. (Attesa). Ma quando ritorna e sovrasta il pensiero del mistero, l’attesa diventa inutile (Inutile attesa) e squallida la stanza dell’attesa (Post scriptum). La stessa condizione di attesa, di fronte all’illusione del mistero svelato e all’inganno del mistero mai svelato, quasi per esaurimento di se stessa, appare bloccata come il vecchio orologio, che, essendosi fermato, segnerà, nel tempo avvenire, la data e l’ora della fine: Il vecchio orologio/ ha smesso di segnare/ le ore/ dell’attesa/ ostentando indifferenza/ agli inganni del tempo. (Nella nebbia). È la fine delle ombre, che perdendo il corpo delle parole, si sbriciolano e cadono in frammenti, a cumulo; è la fine dei sogni, che privi ormai di strade da percorrere alla ricerca del metafisico, segnano un appiattimento di ipotesi e azzeramento di stimoli. Allora persone e personaggi, soggetti e oggetti, parola e canto si perdono nella nebbia, un ulteriore diaframma tra il poeta e la prospettiva metafisica, tra il poeta e il mistero. Nel raccontare la storia del poeta, la poesia racconta se stessa, in puntualizzazioni metanarrative, che obbediscono a una esigenza interna di autodefinizione e autorigenerazione.

Se la poesia di Matrone è poesia di frontiera, vacilla quando l’oltreconfine si allontana nelle nebbie dell’imperscrutabilità. Ma ecco che proprio allora la poesia di Matrone rinasce dalle ceneri degli esiti negativi della propria ricerca. E il poeta tira fuori dal deposito della poesia tutti gli strumenti idonei, e possibili solo al poeta, per librare un volo. L’identificazione, prima, del poeta con l’airone, e la trasformazione, poi, del primo nel secondo, avviene con la pronuncia della formula magica: l’uccello felice/ l’uccello tradito/ l’uccello ferito/ l’uccello impazzito/ l’uccello chiamato airone/ l’uccello che piange/ l’uccello disperato/ l’uccello che muore. (L’uccello chiamato airone). Il poeta, dopo aver seguito per tutto il corso del componimento l’uccello che dorme, l’uccello che sogna, l’uccello che vola, l’uccello che ama, finisce col sentirsi e essere uccello ripetendo a se stesso, con l’insistenza ritmica dell’accumulazione, che provoca l’incantesimo, l’umanità dell’uccello. Divenuto airone, il poeta spicca il volo per i sentieri del cielo, iniziando il viaggio in mezzo alle stelle/ e oltre, per sempre: è il viaggio oltre confine che l’airone può intraprendere contro tutte le leggi fisiche, in quanto uccello-poeta, e che il poeta può avviare perché capace, ora, di volare. La trasformazione del poeta in airone, dunque, dà vita a una unità e immagine nuova, il poeta airone, dove coesistono saldamente le funzioni dell’uno e gli attributi dell’altro, per cui il poeta non potrebbe volare se non fosse uccello e l’airone non potrebbe viaggiare tra le stelle e oltre se non fosse a immagine e somiglianza del poeta.

Temi e motivi, particolari e insieme della poesia di Matrone, appartengono tutti all’orizzonte umano e sono come elencati in una poesia-indice E scriverò dei versi. Ciascun verso elenca una speranza, un frammento di immagine e ciascun lettore può divertirsi poi a rintracciarli negli altri componimenti, formulando una cartografia di motivi e intrecci. Ma soprattutto E scriverò dei versi è un campione di buona parte (e forse la migliore) della poesia di Matrone, la quale fissa spezzoni di realtà, per poi tentarne una ricomposizione anagrammatica. Il fatto è che, bloccata la prospettiva metafisica, il poeta sente la realtà come priva di una compagine e di un motivo che la organizzi. Coglierla nei frammenti, al momento, e tentarne la organizzazione, come fosse un puzzle, corrisponde a un segreto bisogno di denudare il mistero dell’umano.

Sono questi i sentieri di speranza che Matrone intende percorrere (Lungo i sentieri di speranza), con un’esperienza poetica, che rifiuta il mare di parole e stipula un contratto perenne con la parola semplice ed essenziale, che prende le distanze dal linguaggio in agonia, non corrispondente alle cose e alle persone, e parla la parola chiara e lineare. È il modo per non parlare a vuoto e per non parlare da solo, bensì a un’ideale famiglia umana, quella che comunque si muove lungo i sentieri di speranza, alla ricerca del mistico nell’umano. La scommessa di Matrone è aperta.

  Pasquale Sabbatino (critico letterario, pubblicista, docente dell’Università di Napoli)

Sabbatino Pasquale - -

 
 
 
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