Un testo letterario è originale e profondo, quando si muove in più direzioni e si presta a più letture, spingendo il lettore ad avvalersi di strumenti critici sempre diversi, eppur convergenti, perché il suo significato è polisenso e, dunque, straordinariamente pregnante. E’ questo il caso di Pompei e il Segreto della Porta del Tempo, romanzo di Pasquale Matrone, un intellettuale raffinato e colto, che sta mietendo con le sue opere notevoli successi presso qualificati lettori, illustri critici e prestigiose Giurie di Premi letterar
Il protagonista come eroe di un romanzo familiare. L’opera si connota per la complessità dei livelli letterari, che, grazie alla sapienza dell’autore, confluiscono e si stratificano nella suggestiva tramatura delle vicende narrate. Innanzitutto, la storia è un fulgido esempio di romanzo familiare, che prende l’avvio dalla tensione dei rapporti fra i due genitori del giovane protagonista, Marzio, nome questo, peraltro allusivo, perché, derivando da Marte, richiama lo spirito combattivo dell’adolescente ed esprime la visione del mondo dell’esistenza come lotta, come agone, come prova, che tempra colui che combatte e soffre, patisce e spera.
La crisi iniziale del ruolo genitoriale rischia di riverberare le sue conseguenze negative sulla formazione di Marzio, che, ricongiuntosi al nonno, diviene vittima di un malore che sembrerebbe segnarlo; ma, egli, come guidato da una misteriosa “macchina del tempo”, rivive una salvifica esperienza nella Pompei della storia antica poco prima che essa stia per essere distrutta dalla celebre eruzione del Vesuvio. Questo procedere à rebours si configura come l’esperienza che segna irreversibilmente il processo di maturazione dell’adolescente e lo riconsegna adulto nella mente e nel cuore nell’alveo della sua famiglia ricostituita. In tal senso, l’opera è un nostos, da leggere in chiave epicizzante: il giovane che ritorna, come in una sorta di “approdo ciclico”, all’Itaca da cui le tempeste della vita lo hanno allontanato.
Le sapienti pennellate del quadro storico. Ma, al di là delle vicende personali dei protagonisti della vicenda, si delinea un altro livello narrativo: quello del romanzo storico. La vicenda è ambientata in un preciso contesto: quello della Pompei di ieri e di oggi, terra sacra da sempre, che emerge attraverso una peinture finissima nella sua precisione descrittiva. Matrone ha, infatti, ricostruito, con il rigore dello storico e con la passione del filosofo, luoghi, abitudini e modi di parlare della Pompei antica. Il suo romanzo è un mirabolante caleidoscopio, in cui siti e personaggi del passato si avvicinano a noi (o noi ci avviciniamo a loro, in una straniante commistione spazio-temporale), ma sembra costruito, al tempo stesso, con la tecnica modernissima del CD multimediale, per cui tu clicchi su un tasto e da un punto passi ad un altro, da un’immagine ad una musica. Sì, perché il romanzo di Matrone sembra attraversato e commentato da un’avvincente colonna sonora, ora struggente ora dissonante, ora pacata ora impetuosa; e la trama si snoda fra richiami storici e citazioni poetiche, fruibili, nella loro godibilità, anche da parte di un lettore “medio”.
Il livello antropologico del testo. Accanto a questi sottili rinvii intertestuali si colloca un ulteriore livello narrativo: quello della chiave antropologico-misterica con cui è possibile leggere eventi e personaggi. A questo livello l’opera si dispiega come una summa della cultura del Mistero. Sullo sfondo del romanzo Matrone colloca, infatti, i riti di Iside, peraltro attestati a Pompei di Villa dei Misteri, tra cui svetta la lettura del rituale, di cui parla il narratore in una emblematica pagina del testo.
Il bambino che “legge il rituale” tra due “matrone” (esempio ammiccante di Erlebnis attraverso il richiamo calembouristico al cognome dell’autore) è Dioniso, dio dell’ebbrezza e della gioia, che, per dirla con Nietzsche, incarna la profonda volontà di vivere anteriore a ogni razionalità e gli impulsi primari dell’uomo, in cui si fondono la gioia e il dolore della vita. I suoi lineamenti da “bambino” indicano sia la spontaneità sia la disponibilità alla crescita interiore. La giovinetta che reca in mano il piatto delle offerte impersonifica la potenzialità della vita, che “si offre” all’uomo come albero dalle mille foglie e dai mille frutti.
Ma non vanno trascurati altri due riferimenti. Il primo è quello della fanciulla che allatta una cerbiatta. Questo animale, nella storia delle religioni, sta ad indicare allusivamente una femminilità ancora indifferenziata e, nel Cantico dei Cantici, serve a proteggere la quiete dell’amore. E, nella profonda simbologia di Matrone, rinvia qui anche alla duplicità della natura umana: essere razionale ed essere “bestiale” (laddove la ferinitas indica freudianamente le pulsioni dell’Es, che l’Io deve contenere e frenare).
L’altro riferimento importante è quello della flagellazione; evidente rinvio, questo, alla mutilazione del dio pagano Attis, ma anche, ad un livello superiore, alla flagellazione-crocifissione di Cristo. In questa scena è implicito il messaggio della necessità del dolore come lievito necessario per giungere alla gioia: le nozze fastose di Bacco e di Arianna concludono, infatti, la descrizione. Questo tema della trasmutazione è evidente anche nel ruolo di passaggio del “malore” del protagonista”: è l’equivalente dello svenimento di Dante, che spesso nel “passaggio” da un canto all’altro “cade come corpo morto cade”. Una morte da intendersi non come estinzione fisica, ma viceversa come un “morire al peccato” per rinascere alla Grazia”. In tal senso, Pompei e il Segreto della Porta del Tempo è un romanzo perfettamente “liminare”, nel senso che fa dei temi del limite, della porta, della soglia, del passaggio, del mutamento i suoi indiscutibili punti di forza narrativi.
Romanzo d’avanguardia. Questo romanzo di Pasquale Matrone è, infine, una raffinata e lucida opera di avanguardia a livello strutturale e formale. Innanzitutto, si avvale della sapientissima contaminatio di più codici letterari: esso alterna, infatti la fluente discorsività del testo narrativo alla profondità documentativa del saggio filosofico, il tono suadente del taglio diaristico alla creatività del linguaggio poetico. Da ciò risulta anche un godibile mélange di vari registri formali: dal sermo cotidianus (“ti chiamano e ti dicono mangiami, se no non sai quello che ti perdi”, p. 21) allo stile nominale (“Concitazione. Rumori. Sbattere di porte”, p. 82). Ma là dove Matrone è un vero magister calami (vero discepolo di Pirandello e Svevo) è nell’uso della focalizzazione interna, il procedimento tecnico-formale attraverso cui egli vede la realtà con gli occhi dei suoi personaggi.
Essa viene realizzata non solo mediante passi di diario, ma soprattutto con il ricorso a opportuni corsivi, che esprimono il mondo interiore del protagonista (pp. 21-23) nei suoi rapporti con i genitori. Talvolta, tale tecnica viene fusa con quella della focalizzazione zero, tipica del narratore che conosce in anteprima la storia: “ma allora… la sua dea non le aveva mai parlato dell’eruzione, che, tra non molto, avrebbe cancellato dalla terra lei stessa e l’intero paese?” (p. 131).
In questa frase sono mescidate l’angoscia del personaggio inconsapevole e l’onniscienza dello scrittore che inserisce in una trama già data il destino dei personaggi. Ed è proprio in questo gioco di prospettive che il lettore viene avvinghiato, attanagliato, affascinato e si lascia trascinare dal vortice degli eventi e delle parole, che, scavate nell’abisso del senso, danno esse stesse un senso all’esistenza.
Franco Salerno (docente, scrittore, giornalista, saggista, antropologo)
(Le Muse, Febbraio 2005)
Salerno Franco - -
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