La lettura è una sorta di immedesimazione, è anche sosta per suggere la carica di un messaggio e mi pare che la profonda cultura che anima il romanzo si traduca in cultura umana lontana dall'orda materialistica, nichilistica anche, che impera nel tempo dei giorni. Mi pare che il Matrone proponga la capacità di riconoscere la verità all'interno pure di miti lontani. Lo scrittore anela ad armonia al fine di allontanarsi da steccati di crisi della ragione, evidenziando forse così la propria partecipazione emotiva ai fiotti del cuore. Molti sono i paesaggi descritti dal Matrone: essi confermano sequenze di bellezze e di malinconia, che di certo variano delineando così una realtà soggettiva. C'è inoltre nell'opera di Pasquale Matrone un filone introspettivo che rivela tanta meditazione, riflessione al fine di scoprire la nudità dell'essere, la finitezza che comunque concorre all'antica armonia. L'avventura umana deve essere dominata dall'amore per concorrere ad incontri e superare l'umana sofferenza.
Il romanzo è percorso da una scrittura ricca di metafore, di immagini lampeggianti non lontane da abbandoni lirici, di seduzioni mitiche che accompagnano nel tempo e nell'opera i percorsi di fede. Inoltre lo spirito che anima la narrazione mi riporta ad Heidegger, allorquando equipara la morte alla vita. Leggiamo: "La morte, in fondo, non è che la realizzazione del progetto della vita, del progetto dell'esserci. Tuttavia morire non è scomparire, ma è scomparire dentro se stessi. È tornare all'essere dall'esserci. Niente può estinguersi nell'eterna assolutezza universale. La materia è un involucro, è come un bozzolo la cui larva diviene farfalla per poter volare". Possiamo, in tale ottica, vincere la morte e la vita ritorna, senza mai arrendersi. Possiamo essere, nella lezione del Matrone, un alito, un respiro che è comunque nei cieli dell'infinito universo. Anche la "porta del tempo" è sempre aperta: possiamo ascoltare le voci; possiamo riannodare i fili di un cammino, possiamo ancora ascoltare racconti: "il ragazzo disse al nonno che aveva ancora tanto da raccontargli. Avrebbe avuto il tempo di farlo, se gli avesse consentito di rimanere fino alla fine di settembre nella fattoria, a dare una mano a lui e a Nicola nella cura del vigneto".
Arturo Esposito ( Poeta, Presidente dell'associazione culturale Il Simposio delle Muse)
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