Tralasciando la trama, anche se affascinante, coinvolgente, ricca di colpi di scena, accenniamo solo ad alcuni dei tanti argomenti che richiama la lettura del romanzo Pompei e il Segreto della Porta del Tempo di Pasquale Matrone.
Diciamo di problemi come la separazione e il divorzio; la sorte dei figli in tali frangenti, palleggiati dai coniugi e dal magistrato come se fossero oggetti; diciamo della scuola, attardata su programmi obsoleti o stravaganti, che non dicono nulla non solo agli allievi, ma neppure ai docenti, vittime, a loro volta, di politici e legislatori incompetenti (basta pensare a quel Ministro della Pubblica Istruzione che, nel marzo 2000, come riportato da Fausto Gianfranceschi sulle pagine de II Tempo, parlava e scriveva della “Prova strutturata nazionale” e degli “obiettivi formulati in termini di conoscenze, capacità e competenze, obiettivi disciplinari, pluridisciplinari, disciplinari specifici e trasversali, riferiti a operazioni cognitive o pratico-strumentali non direttamente connesse a processi disciplinari...”). A un giovane disgustato da questo mondo, nel romanzo di Matrone, la salvezza giungerà da un nonno e dalla sua saggezza, che gli farà amare la storia e la lettura, il prossimo, la vita.
Ecco, allora, l’importanza degli anziani e dei vecchi nel rapporto tra le generazioni. La loro presenza contribuisce a mantenere integro il tessuto che lega i figli ai padri, affinché possa essere una crescita armoniosa, senza eccessive smagliature. Nonno Orfeo è balsamo per l’animo esacerbato del nipote Marzio, è equilibrio per la sua vita squinternata. Forse parecchi drammi della gioventù, che, per esempio, si consuma ogni giorno e ogni notte sulle strade, sfracellata lungo i bordi, arrostita nelle bare di lamiera, con una presenza costante, nelle nostre case, di tanti nonni Orfeo, avrebbero finalmente termine.
Ma azione altrettanto salvifica, nel romanzo di Pasquale Matrone, viene anche dal giusto valore che si deve dare alla malattia e al dolore, dalla loro accettazione quali componenti inseparabili della vita: aiutano a crescere, rinsaldano vincoli, stringono in un legame indissolubile di amicizia e di amore.
Nella vicenda, narrata in Pompei e il Segreto della Porta del Tempo, entra coralmente anche la Natura e la Poesia, che smussano angoli, ammorbidiscono asprezze. Le rovine della città richiamavano feroci gladiatori “assetati di gloria e di sangue”, ma, su di esse, le rondini descrivevano “lunghe teorie di cerchi, volando tra le cime dei cipressi, il rosso scarlatto del tramonto e la striscia di mare che, a stento, si coglieva all’orizzonte” e “centinaia di passeri chiassosi si chiamavano a raccolta tra i rami del saliceto”, mentre “la voce del vento tra le foglie dei pioppi”, “Venere e la luna piena”, “riempivano di poesia il cielo terso e amico di quella magnifica notte estiva”. “La vigna e il frutteto erano in un mare di luce e le cicale, nascoste tra i pini e nel prato, facevano un chiasso piacevole...”. Marzio “rimase a lungo a guardare il fluire dell’acqua che sembrava pettinare i grandi ciuffi d’erba di fiume”...
Poesia e musica della Natura che si sposano a quelle del linguaggio: “Era un suono di lira che gli infondeva amore, serenità e voglia di abbandonarsi al sonno”. Il raccontare è leggero, suadente, penetrante, dilettoso. Anche l’utilizzo grafico del carattere contribuisce alla fluidità del narrato. Solo parte dei dialoghi emerge tra virgolette, il resto è indirettamente dato dall’uso del corsivo, come, attraverso il corsivo, sono dati i pensieri, i soliloqui, propositi, convinzioni, decisioni.
Il dramma di Pompei si può ripetere? La risposta, purtroppo, è affermativa. L’uomo non può evitare tutte le catastrofi naturali, come non può allontanare da sé la morte. Il ragazzo, oltrepassata la Porta del Tempo (lungo sarebbe soffermarsi sulla malattia, le tante metafore, gli innumerevoli risvolti ad essa collegati), si trova a vivere i preludi del grande cataclisma; spera che Magonio, il “Chirurgo Mago”, possa avvertire la gente perché scappi, perché si salvi. Ma i cittadini non gli avrebbero creduto. I profeti di sventura sono stati sempre scherniti. Era, allora, “il Vesuvio ricoperto di viti e di frutteti”, di città splendide, ricche, industriose. Come lo è ancora oggi, e, anche oggi, forse, solo pochi accoglierebbero la profezia di una qualche Cassandra. Perché, purtroppo, “Nessuno è in grado di cambiare il corso delle cose”. Giacché “la vita e la morte sono le due facce della stessa moneta”, l’uomo consapevole “dovrebbe preoccuparsi di impiegare il tempo che la sorte gli ha assegnato a costruire un mondo più giusto”. Invece è accecato dal contingente, dal quotidiano, e dalla voglia di potere e di ricchezza. Così, quante Pompei avremmo nuovamente se, per disgrazia, il Vesuvio si dovesse destare?
Domenico Defelice (Poeta, saggista, direttore del mensile Pomezia-Notizie)
(Articolo pubblicato su Pomezia-Notizie)
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