Intervista di Fulvio Castellani
RIDARE DIGNITÀ ALLA PAROLA
Definito a più riprese “artigiano di parole” per la cura con cui elabora e perfeziona i suoi scritti siano essi poesie, romanzi oppure saggi, Pasquale Matrone non dà tregua al suo creare e ricreare situazioni, momenti di vita, incontri con la storia, tuffi nel mare aperto e profondo del suo essere alla continua ricerca, affannosa a tratti, di quel mondo fantastico che è, o che dovrebbe essere, una parte inscindibile di noi stessi.
Artista poliedrico qual è (nel 1982 ha fondato anche la “Lectura Dantis Pompeiana”, curando poi la presentazione dei volumi relativi alle “lecturae”), trova nell’amore per la vita la molla insostituibile per guardare oltre la violenza e l’odio, in pratica per costringere alla riflessione sul mistero di Eros e di Thánatos. E un tanto fuoriesce in maniera davvero suggestiva nell’ultima sua fatica letteraria, ossia nel romanzo Pompei e il segreto della Porta del Tempo (Ed. Bastogi) che ci porta alla riscoperta della vecchia Pompei con ricostruzioni ambientali precise e con la contrapposizione di Amore e Morte resa in maniera affabulatoria, da protagonista e da testimone, in un certo senso di una realtà da cui discende.
“Uso per costruire le mie storie – ha avuto modo di dire di recente a Salvatore Tartaglione – un’attenzione quasi maniacale nei confronti della realtà che, tuttavia, amo reinventare e trasfigurare in una sorta di verosimile-fantastico.”
Per saperne di più, comunque, ecco quanto ha gentilmente risposto ad alcune mie sollecitazioni, scaturite da un’attenta disamina del suo percorso scritturale.
Lei ama reinventare e trasfigurare, in un certo senso, la realtà. C’è un motivo? Oppure Le viene spontaneo?
Lo scrittore non fotografa la realtà per raccontarla nuda e cruda com’è. Fa molto di più. Rielabora le cose che vede e le narra ponendole in una dimensione altra, dove, libere dalle catene dello spazio e del tempo, esse acquistano l’universalità e la dignità di messaggio letterario. Questo il motivo ‘visibile’ della mia scelta. Ce ne sarà certamente anche un altro non visibile o, se preferisce, spontaneo. Ma quello riguarda l’inconscio e non saprei cosa rispondere…
Si ritiene più poeta o narratore, saggista o insegnante di filosofia?
Nei miei primi cinquantanove anni di vita, ho ‘giocato’ a fare tutte e quattro le cose. E mi sono divertito. Ho creduto in ciò che facevo e, tuttavia, non ho mai smesso di coltivare una sorta di moderata quanto salutare e benefica autoironia che mi ha aiutato a non prendermi mai troppo sul serio. Tra qualche mese, smetterò di insegnare filosofia, andrò in pensione… Di una cosa, dunque, sono certo: non sarò più un professore. So che questa non è la risposta che si aspettava, ma è più forte di me: la sua domanda mi fa pensare a Uno, nessuno e centomila di Pirandello…”.
In Per favore spegnete quella luce, un’opera che è stata accolta con estremo interesse, Lei esalta la vita, l’amore, la socialità, l’interiorità… È , dunque, la gioia di vivere che La spinge a scrivere?
Il libro, edito dalla CEDAM, è stato adottato come testo di narrativa nei bienni delle scuole secondarie: diecimila copie vendute e, soprattutto, è piaciuto molto ai giovani lettori… Chi scrive proietta nelle sue opere le sue aspirazioni più o meno consapevoli. Parte dal mondo com’è e narra il mondo che vorrebbe. La realtà in cui viviamo è attraversata da ingiustizie, guerre, dolore, solitudine, miseria e morte. Prenderne atto è una necessità e un dovere. Ma è altrettanto doveroso intonare, con i mezzi di cui disponiamo, un canto nuovo che lasci intravedere progetti di ricostruzione e di riscatto della Storia in nome dell’amore e della gioia di vivere. Al di là di qualsivoglia astratta utopia. Con i piedi ben saldi sulla terra e con lo sguardo sempre rivolto verso il cielo e la luce.
Passato e presente si intrecciano in Pompei e il segreto della Porta del Tempo, ma è sempre l’amore ad avere la meglio su ogni e qualsiasi situazione. Come Le è venuta l’idea di scrivere tale romanzo ? E perché lo ha scritto ?
Il mio, più che una certezza, è un atto di fede: Eros vincerà la sua dura battaglia contro Thánatos. L’Amore trionferà sulla Morte. Deve essere così. Sarà così. Pompei, città sepolta e ritrovata, è la metafora di questa fiducia ed è lo ‘strumento’ di cui ho fatto uso, in questo mio ultimo romanzo, per dare forza al mio convincimento. Sono nato e vissuto a poca distanza dalle rovine della città distrutta dal Vesuvio. Da bambino, ho giocato tra le pietre secolari dell’anfiteatro e ne ho percepito le voci e i segreti, sentendomi ramo e foglia di quelle radici… Da sempre ho avvertito dentro l’esigenza di dare volti, parole e respiro alle creature imprigionate nella cenere e nei lapilli. Erano i miei antenati lontani, mi chiedevano di farlo, di raccontarli… Così pensavo da bambino.
La parola è molto importante nel contesto della Sua scrittura. Ci vuole spiegare il motivo?
Avverto intensamente la sacralità della parola: ‘In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio. La Parola era in principio Dio stesso. Tutto è stato fatto per mezzo di lei, e senza di lei, neppure una delle cose create è stata fatta…’. Mi sento in sintonia con Heidegger, quando chiama in causa la Scrittura… Il mondo ha bisogno di riappropriarsi del senso autentico delle parole. La parola, violentata, infangata, strumentalizzata e offesa dall’arroganza dei potenti e dalla colpevole indifferenza di chi dovrebbe difenderne la dignità, deve riconquistare il suo ruolo. Deve ridiventare espressione e testimonianza di verità.
Perché insegue il sogno di identificare la scrittura, come già ebbe a dire Erich Fromm, con una sostanziale “rivoluzione della speranza”?
Ridare dignità alla parola e senso alla scrittura è l’unica grande rivoluzione in grado di mutare le sorti e il destino dell’umanità. Fromm, contro la subcultura della disperazione che pesa come piombo sul cuore inaridito del mondo, invita la gente a reagire e a progettare una rivoluzione della speranza. Condivido. E trovo che la scrittura sia un elemento insostituibile quanto prezioso per raggiungere il non facile traguardo.
Al fondo del Suo narrare c’è il viaggio. Cosa significa per Lei il viaggio, reale o idealizzato?
Mi piace risponderle chiamando in causa l’esistenzialista Marcel e il suo Homo viator. Il filosofo francese, uno dei miei punti di riferimento, identifica la nostra vita con un lungo e difficile viaggio verso il Mistero. Un viaggio che diventa meno pesante se affrontato con compagni di strada pronti a darci una mano e a cui dare sostegno, quando ne hanno bisogno. Più che il traguardo finale, di questo viaggio è importante il percorso fatto giorno dopo giorno. È questo che conta… L’uomo viene da molto lontano ed è destinato ad andare molto lontano… Prenderne atto è indispensabile per dare un senso non solo alla scrittura ma anche e, soprattutto, alla vita stessa.
Cos’è che ama di più: la realtà, la storia, il sogno, l’amore o l’amicizia ?
Realtà, storia, sogno, amore, amicizia: parole grandi che richiedono una forte tensione etica… Come tutti gli esseri umani, mi sento fragile e inadeguato… e, tuttavia, credo nello straordinario potere dell’amore. Non quello sdolcinato e melenso, impregnato di vaniloqui e di velleitarismo sterile, bensì quello che, con discrezione e fermezza, sa tradursi in azione concreta e incisiva. Parlo di quella forza che riesce a trasferire il sogno nella realtà e nella storia, quella che sgombra la mente dal pregiudizio, generando volontà di ascolto, dialogo, amicizia autentica… L’amore è un arte difficile e complessa che s’impara a fatica. Richiede umiltà, sacrificio, impegno…
Se la fiaba racchiude sempre in sé un pizzico di verità, la realtà presenta, o può presentare, un pizzico di quel magico mondo che alimenta la fiaba?
Le rispondo con le parole di Paride, uno dei personaggi de L’organetto di Barberia, un mio vecchio romanzo: ‹‹E poi, chi mai potrebbe stabilire, in modo rigoroso, qual è il confine sottile che separa i fatti realmente accaduti da quelli prodotti dalla nostra immaginazione? C’è forse al mondo una sola verità che non abbia bisogno di essere sorretta e integrata dalla fantasia?››.
Un’ultima cosa: ha mai pensato che lo scrivere sia una perdita di tempo in questa nostra società votata all’immagine ed alla superficialità ?
Neppure per un solo istante. So bene che nessuno insegnerà mai niente a nessuno. E non mi piace l’idea romantica dello scrittore educatore, maestro di pensiero, intellettuale impegnato destinato a cambiare le sorti del genere umano col potere salvifico del suo messaggio. È infantile, falsa. Ma, nonostante ciò, so che scrivere è e resta l’unica arma possibile per difendersi dalla telecrazia e dalla insostenibile pesantezza del nulla che tende a soffocarci e a defraudarci della capacità di pensare. Non mi arrendo all’idea che la nostra società debba fatalmente subire la prepotenza dell’ immagine e della superficialità. Voglio che non sia così. Perciò continuerò a scrivere e a sembrare folle e inconcludente agli occhi di chi, a sua volta, continuerà a guardarmi con aria compassionevole, convinto com’è che l’apparenza e l’avere valgano molto di più della realtà e dell’essere.
(Intervista pubblicata su Pomezia Notizie, 2004)
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